Due riflessioni cinematografiche.
La prima è relativa a due film che in apparenza non hanno nulla in comune: Habemus Papam e Anna Karenina. Non hanno nulla in comune ma utilizzano lo stesso mezzo, il teatro, come veicolo. Il film di Moretti è in realtà tutta una riflessione sul “ruolo”. Il cardinale Melville non rinuncia a essere papa, ma rinuncia a essere il papa per come è istituzionalmente concepito. Le scene in cui va in giro per Roma sono cariche di santità e, nonostante lui sia in borghese, è impossibile dimenticare che è il papa, un papa in autobus. Quindi lui continua a essere se stesso (e bravissimo Moretti che riesce a trasmettere questo messaggio). Solo che non vuole tutte quelle palandrane, non vuole il Vaticano, non vuole la distanza. E poi arriva la scena del teatro: lui entra e tutti applaudono. Eccolo, il ruolo.
In Anna Karenina il regista Joe Wright utilizza il teatro con il medesimo scopo: Anna Karenina rifiuta il proprio ruolo in società, ovvero tutto quello che quel ruolo comporta. Credo che tutto sia nato dalla scelta di Tolstooj di ambientare il climax a teatro. Per la prima uscita in società di Anna dopo lo scandalo, lo scrittore avrebbe potuto scegliere una festa e invece sceglie un teatro perché solo in un teatro Anna e il suo ruolo possono di nuovo coincidere l’uno con l’altro. Ma questa sovrapposizione è ormai impossibile, Anna impazzisce e si elimina.
Credo che sia stata questa scelta di Tolstoj a guidare Wright per la messinscena generale che fa leva sull’alternanza teatro-realtà proprio per drammatizzare le imposizioni borghesi della società russa.
Naturalmente l’utilizzo di Moretti è molto ma molto più colto di quello che fa Wright.
La seconda riflessione è dedicata a Valerio Mastandrea, che diventa più bravo film dopo film. Con Viva la libertà tutti si sono sperticati in lodi per Servillo ma in realtà Mastandrea tiene in piedi il film perché il ruolo che ricopre è quello di mediatore tra Servillo e il pubblico: noi vediamo Oliveri/Ernani attraverso gli occhi di Mastandrea e se Mastandrea non fosse stato così bravo noi avremmo avuto qualche perplessità in più sul doppio personaggio di Servillo e sulla storia tutta, che oltretutto è estremamente ambigua, vedi il finale. Questo ruolo di mediatore necessita di grande capacità empatica con il pubblico che deve immedesimarsi con l’attore spontaneamente per poterlo accogliere come Cicerone ed è questa la forza di Mastandrea che, questo tipo di attitudine, metà fuori e metà dentro la storia, la adotta spesso.
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